Soccer 70 (#FabR)

Non mi ricordo se il calcio di quando ero bambino era veramente migliore di quello di oggi, forse sì, ma solo perchè ho i ricordi sbiaditi e lo associo al periodo meraviglioso della fanciullezza. Di sicuro prima era diverso; meno fisico, più lento ma più talentuoso.  

I numeri sulle maglie erano dei punti fermi, andavano dall’1 all’11, chi si prendeva un numero più alto era più scarso dei titolari e stava in panchina.

L’1 era il portiere, il 2 e il 3 i terzini, rispettivamente destro e sinistro che potevano essere fluidificanti se oltre alla fase difensiva facevano quella offensiva salendo sulla fascia di competenza. Il 4 era il medianaccio di rottura, meglio se anche metodista, il 5 lo stopper, quello che si attaccava alla punta avversaria e lo riempiva di zampate fino al primo cartellino, il 6 l’altro difensore centrale, detto anche libero perché era l’unico dei difensori che marcava a zona e non a uomo, il 7 l’ala destra, spesso tornante specialmente se dietro aveva un terzino che saliva, doveva essere uno che saltava l’uomo per andare sul fondo a crossare per gli attaccanti, l’8 l’altro centrocampista, quello che copriva, ma che doveva anche sapersi inserire, il 9 la prima punta, il finalizzatore del gioco, quello che picchia di testa, che fa a sportellate nell'area avversaria e la butta dentro, il 10 la mezz’ala sinistra, il rifinitore, il fantasista, quello che fa la differenza, il più talentuoso che gioca muovendosi tra le linee a ridosso delle punte, quello imprevedibile che mette gli altri in condizione di segnare, ma che non disdegna la via della rete, l’11 la seconda punta di movimento o l’ala sinistra avanzata, spesso più tecnico della prima punta ma meno forte fisicamente.

Oggi dietro le maglie i calciatori hanno scritto su il cognome, talvolta il nome o il nomignolo e con i numeri c’è confusione, vanno da 1 a 99 un po’ per dare modo ai giocatori di scegliersi il proprio numero preferito, ma soprattutto per aumentare le vendite delle maglie.

L'abbigliamento tecnico delle squadre più blasonate è facilmente reperibile su internet, è possibile anche farsi personalizzare la maglia. Quando eravamo bambini il massimo era una fruit colorata con il numero attaccato dietro. C'erano i numeri che si attaccavano con il ferro da stiro o quelli da cucire che erano già un grosso miglioramento rispetto alla maglietta bianca con il numero scritto col pennarello nero.

Nel calcio di oggi l’importanza del marketing è diventata sempre più strategica per le entrate dei club, come lo sono i diritti televisivi. Prima chi voleva vedersi le partite poteva solo andare allo stadio. L'alternativa era sentirle alla radio; la domenica erano troppo ganzi gli ometti che se ne andavano in giro con la radiolina all’orecchio, passeggiando sul lungomare ogni tanto se ne beccava uno ed era possibile seguire la squadra del cuore chiedendo aggiornamenti costanti sull’andamento delle partite. Si chiedeva anche a gente che non si conosceva, era consueto avvicinarsi ad uno sconosciuto con la radiolina e domandare: “oh, che fa l’Inter?” e lui ti rispondeva normalmente. Era infatti scontato per uno con la radiolina venire abbordato ripetutamente dai passanti appassionati di calcio che per far contenta la moglie passeggiavano controvoglia, se poi gli chiedevi notizie sulla sua squadra del cuore, allora scattava quella empatia immediata tra sconosciuti che si trova solo tra tifosi della stessa squadra. A volte succedeva il contrario, si stillava il risultato come con le carte del poker evitando i tipi con la radiolina, poi si andava a vedere il 90° minuto senza sapere come era andata e ci gustavamo la partita concentrata in un servizio. Quello del 90° minuto era l’appuntamento fisso della serata domenicale, credo che avesse una media di spettatori che superava agevolmente la decina di milioni, gli inviati erano spettacolari, quelli più pittoreschi venivano regolarmente imitati in tv, se ero in casa non esisteva di uscire prima di aver visto il servizio sull’Inter, la scaletta era furba, la regia mandava sempre i servizi sulle squadre più seguite verso la fine quindi il programma andava visto fino in fondo e si arrivava tardi alla passeggiata nel corso.

La tappa fissa del girello domenicale era il Bar Commercio, ricordo che il proprietario da giovane aveva corso in bicicletta ad alti livelli e aveva conosciuto Coppi e Bartali, l’interno del bar era tappezzato di loro foto in bianco e nero, compresa quella famosissima in cui si scambiano la borraccia dell’acqua. Nel retrobottega c’era il biliardo, un monolite di legno laccato piantato pesantemente proprio in mezzo alla stanza buia e fumosa, sul panno verde vellutato c'erano i birillini della goriziana posizionati a croce, il buio era squarciato da una lama di luce bianca che si lanciava a picco sul panno da basse lampade laccate in verde, l'aria era sempre densa di fumo e sul bordo del biliardo c’era sempre un bicchierino di liquore vicino al gessetto per la punta delle stecche. La sosta al bar commercio era obbligata perché lì gli aggiornamenti sulle partite erano assicurati dalla radio in filodiffusione e alla fine delle ostilità veniva attaccato il foglio con i risultati finali nella vetrina esterna che dava sulla via principale. Si trattava della stampa ingrandita di una schedina, il bordo era colorato e i risultati venivano scritti a mano col pennarello a punta grossa con accanto la colonna vincente del totocalcio.

Oggi, se siamo in giro durante la partita, il nostro smartphone ci notifica puntualmente tutti i fatti salienti, se invece restiamo a casa ci vediamo le partite comodamente sulla poltrona in alta risoluzione ed è una vera goduria, la contropartita è però una frammentazione del calendario calcistico con molti anticipi e posticipi per allungare i palinsesti televisivi. Anche i telecronisti sono “frammentati”, nessuna telecronaca moderna può prescindere dal commento tecnico di un addetto ai lavori che accompagna il telecronista principale e non ci sono più le vecchie, solitarie e familiari voci di riferimento, perché il calcio viene trasmesso su diverse piattaforme televisive a pagamento e ognuna ha i suoi commentatori.

Prima era tutto più semplice, tutto veniva trasmesso da mamma rai e la partita in TV aveva una sola voce, la mia generazione è passata dall'enfasi di Martellini, impossibile scordarsi la sua spontanea emozione nella finalissima contro la Germania, alla calda voce impastata di Pizzul che sottolineava le giocate migliori dei giocatori più forti chiamandoli col nome di battesimo e definiva “arcigni” i difensori più duri.

Il calcio di oggi è diventato uno spettacolo televisivo, come un film, uno sceneggiato o un varietà e i calciatori sono protagonisti di questo spettacolo. Come veri e propri divi, curano la loro immagine e le loro pettinature, i loro tatuaggi, le loro stravaganze fanno tendenza. Alcuni hanno addirittura il nome d'arte e quasi tutti sono a loro agio davanti alle telecamere mentre quelli della vecchia guardia spesso erano impacciati in tv e talvolta si esprimevano con una grammatica agghiacciante da badante bulgara. Quando giocavano in nazionale i nostri non cantavano l’inno, un po’ per pudore, un po’ per ostinazione verso chi gli chiedeva di farlo, oggi lo ostentano a pieni polmoni, come tenori, fieri ed impettiti come un manipolo di patrioti risorgimentali davanti ad un plotone di esecuzione austriaco. In campo portano i calzettoni tirati su fino a sopra il ginocchio quasi come le autoreggenti delle donne. Prima invece i giocatori più ganzi giocavano senza parastinchi con i calzettoni abbassati senza la paura di prendere dolorose botte. Noi facevamo lo stesso, li imitavamo tirandoci giù i calzettoni anteponendo gli stinchi nudi alla sferza dei difensori e avevamo sempre le gambe piene di lividi, si giocava in strada sull'asfalto, quindi oltre ai lividi avevamo sempre le ginocchia sbucciate. Le partite per la strada erano in assoluto la cosa più divertente, eravamo in numero variabile ma non importava, due di noi facevano le squadre sorteggiando chi iniziava per primo e a turno si sceglievano i giocatori migliori, quelli più scarsi venivano scelti per ultimi, la vita diventa subito dura ma non bisogna mai disperare perché alcuni che inizialmente erano scelti per ultimi sono diventati ottimi portieri o bravi difensori aumentando di livello nelle gerarchie. Se eravamo in numero dispari facevamo degli assestamenti ragionati mettendo quelli più bravi nella squadra con meno giocatori. I portieri erano merce rara, in porta nessuno ci voleva stare e si faceva a turno cambiando al ritmo dei gol fatti e subiti. Giocavamo anche sul campo vero ma in strada mi sono divertito molto di più. Ricordo che la prima volta che mi sono ritrovato su un campo regolare tutto era come dilatato, la porta era troppo lontana ma da vicino sembrava immensa, i portieri ci sparivano dentro, quando si arrivava al tiro bastava centrare lo specchio senza prenderli e era fatta, la rete era assicurata, il problema era però arrivare a tirare perché tutto era gonfiato, un tiro da fuori area arrivava verso la porta con poca forza e ruzzolava innocuo tra le braccia del portiere, lo stesso per i lanci e i cross dal fondo le cui parabole erano sempre decisamente ridotte rispetto alla reali intenzioni. In strada invece tutto era più veloce e immediato, non c'erano le pause del campo grande di quando l'azione si spostava fuori dalla propria zona di competenza, si era sempre nel vivo del gioco. Le regole erano leggermente adattate alla situazione, il blocco veniva sanzionato, lo chiamavamo fallo di ostruzione, e il passaggio di una macchina bloccava immediatamente l'azione anche se si era soli davanti al portiere, facevamo anche i time out per recuperare il pallone incastrato sotto una macchina parcheggiata o per ritrovarlo dopo un tiro sballato, la regola era quella del “chi la tira ci va” (ndr. ..a riprenderla). Per strada non c'erano le porte vere e ci si arrangiava con i pali fatti con i sassi o i giacchetti, ovviamente non esisteva la traversa, il gol era assegnato a occhio. Giocavamo senza arbitro, ma non c'erano quasi mai problemi o discussioni, tra noi c'era una specie di accordo tacito che imponeva una sorta di onestà indotta. Era una cosa vagamente legata all'onore a all'autostima. Potevi anche fregare gli altri, ma non te stesso. Se non l'avevi vista entrare, non ti sognavi proprio di chiamare un gol. Con le simulazioni era lo stesso, l’asfalto sbuccia e fa male, se non ti buttavano giù non ci pensavi neanche a farlo da solo, è una cosa che resta dentro, chi ha iniziato a giocare per strada non simula e non si butta, mai.

Erano ore di intenso divertimento, la partita finiva solo quando la prima mamma di uno di noi si arrabbiava di brutto perché s'era fatto troppo tardi e allora andavamo tutti a cena sudati, con le zazzere appiccicate alla fronte, bicciati e sbucciati. Il nostro pallone ufficiale non era di cuoio vero, quelli erano merce rara, costavano troppo e poi sull'asfalto si rovinavano al primo tiro, chi ne aveva uno lo custodiva gelosamente in casa come una santa reliquia. Noi si giocava col mitico “Tango” che era una decorosa ed abbordabile riproduzione in gomma di quello dei mondiali 82 quelli più belli di tutti perché eravamo bambini e perché la vittoria è stata inaspettata anche se man mano che andavamo avanti ci si sperava sempre di più senza però dirlo troppo per non portare sfiga. Se il padrone del Tango non c'era ci facevamo prestare dalle bimbe il “Santos” o il “Super Tele” ma non erano il massimo perché erano troppo leggeri e prendevano vento.

Oggi i palloni sono stati alleggeriti di proposito per rendere il gioco più spettacolare aumentando il numero delle reti perché quando vengono calciati con forza prendono traiettorie strane e meno prevedibili mettendo in difficoltà i poveri portieri, tutto per facilitare la diffusione del “soccer” in paesi tradizionalmente meno affezionati al calcio rispetto al nostro. Quelle platee apprezzano più la rete fine a se stessa, non percepiscono il gol come il culmine di un gioco composto di singole azioni da gustare a prescindere dalla finalizzazione, ridurre il fascino del calcio alla sola marcatura, tralasciando le parate plastiche, le scivolate, i lanci di trenta metri, i passaggi smarcanti, i dribbling ubriacanti e le spazzate in tribuna, è come sentirsi sempre solo “smoke on the water” tralasciando poi l'intera discografia dei Deep Purple.

Non c'era ancora la playstation con i vari giochi dedicati al calcio ma ci divertivamo lo stesso con il Subbuteo e le figurine Panini, finire l'album dei calciatori era un'impresa e quando si finiva l'album era già vecchio.

Ai nostri tempi la nike non aveva ancora invaso il mondo del calcio con il suo materiale tecnico, si pensava che gli americani non s'intendessero troppo di scarpini e altra roba per giocare a pallone e venivano preferite altre marche, ricordo che ho avuto un paio di scarpette da calcio “pantofola d'oro” erano favolose anche se non sono mai state pubblicizzate da Messi e Cristiano Ronaldo. Le maglie oggi sono in tessuti sintetici ultraleggeri studiati per favorire la traspirazione del sudore mantenendo sempre una temperatura ideale sulla pelle anche se fa un freddo pinguino o un caldo che fa sudare come un provolone d'agosto, il tutto ad estremo vantaggio delle prestazioni degli atleti; prima le divise erano in spesso cotone che s'impolpava di sudore, dopo circa mezz'ora di gioco pesavano come le cotte di maglia dei crociati in terra santa, chissà cosa avrebbe fatto di meglio George Best con addosso una dri-fit o una climacool in poliestere. Le scarpe da gioco erano rigorosamente nere, al massimo avevano le strisce del marchio bianche, oggi ci sono di tutti i colori, l'ultima tendenza è portare una scarpa di un colore e una di un altro, prima volendo si poteva fare con i calzini ma non era indice di grande lucidità.

Le squadre italiane erano più forti delle altre, nel nostro sistema calcio giravano i soldoni e i giocatori migliori militavano tutti nel nostro campionato che era definito “il più bello del mondo”, se un giocatore non giocava da noi o era esploso da poco, quindi prima o poi sarebbe arrivato, oppure era troppo scarso, non all'altezza del nostro calcio. Era impensabile che un bravo giocatore italiano andasse a giocare all'estero, qualche caso ci sarà pure stato ma di certo non riguardava i migliori. Gli spagnoli erano scarsi e gli inglesi degli scarponi. Anche tatticamente eravamo avanti, in Spagna erano lenti e in Inghilterra giocavano con i lanci lunghi sulla prima punta che doveva avere un fisico prestante per scardinare le difese a spallate, un gioco troppo prevedibile. Oggi gli spagnoli danno spettacolo e la premier è forse il campionato più bello, hanno imparato a giocare palla a terra e lì il gioco è offensivo, veloce, spettacolare, giocano anche durante le feste di Natale mentre i nostri giocatori s'ingolfano di panettoni. Gli inglesi hanno regolamentato il loro sistema calcio e ora funziona al meglio, hanno gli stadi di proprietà con un servizio d'ordine che funziona, non hanno partite a rischio e non devono schierare un esercito di forze dell'ordine per garantire l'ordine pubblico allo stadio, questo è un valore aggiunto per gli amanti del calcio.

Ora mi fa strano vedere i calciatori di quando ero bambino invecchiati. Alcuni si vedono di rado, altri sono proprio spariti. Infine ci sono quelli che sono rimasti nel mondo del calcio come allenatori o opinionisti televisivi. Hanno i capelli bianchi e la pancetta e raccontano episodi di partite che anche io ho visto, come storia di vita vissuta. É il calcio di oggi, forse è meglio, forse no, è cambiato, come me, però la passione è la stessa.


(FabR#Soccer70)


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