Le barchette di carta (#FabR)


Uno strano cappello se ne stava appoggiato proprio sopra al suo letto, era fatto di cartone plastificato color cuoio scuro e aveva le ampie falde un po' ripiegate verso l'interno, ricordava quello del costume da cowboy che indossava a carnevale  quando era bambino. 
Non sapeva come fosse arrivato li, la situazione era bizzarra ma lui era tranquillo, squadrandolo si sentiva sereno, fu quasi naturale indossarlo e poco dopo averlo appoggiato sulla testa capì. 
Per lui la memoria era come una pellicola fotografica, un numero infinito di fotogrammi di vita vissuta ci venivano impressi automaticamente e restavano li, indelebili. Non tutti i ricordi venivano però registrati, solo alcuni, quelli legati alle emozioni più intense, gli altri no, gli altri erano delicati, dopo un certo periodo di tempo tendevano a svanire. Erano come tante piccole barchette di carta che galleggiavano lentamente seguendo il delicato moto dell'acqua; ondeggiavano per un po' sulle leggere increspature ma poi le fibre della carta s'impregnavano, le barchette diventavano sempre più pesanti e finivano per affondare. Con alcuni ricordi era lo stesso, tanti, tra quelli d'infanzia, erano affondati finendo nel profondo del dimenticatoio. Cercarli sul fondo limaccioso era un lavoro da fare con pazienza, i sedimenti si dovevano depositare alla base, i movimenti dovevano essere lenti e delicati, solo in quel modo e con un po’ di fortuna sarebbe stato possibile riacciuffare una delle barchette affondate. Una procedura quasi impossibile, la vita scorreva veloce su una giostra che girava di continuo, non era facile prendersi il tempo necessario per ricordare. Tante piccole esperienze di vita, come barchette di carta, erano affondate. 
Quel cappello era magico, aveva fermato la giostra e le piccole imbarcazioni stavano riprendendo a galleggiare. Fu tutto tanto improvviso quanto inaspettato, come ritrovare una vecchissima foto dimenticata rovistando dentro un baule, le emozioni vibrarono colpendolo allo stomaco ma fu piacevole come la scarica di adrenalina su una giostra. Realizzò all'istante che le barchette erano sempre state con lui.
La prima era quel palloncino rosso legato con lo spago marrone che si svincolò dalla mano liberandosi nel cielo, lo aveva guardato salire sempre più in alto e diventare sempre più piccolo mentre fantasticava immaginandosi  a volare anche lui attaccato allo spago. Poco più in la c'era la barchetta del primo giorno di scuola, quando la mamma lo lasciò in classe da solo con gli altri, ricordò lo sforzo per trattenere le lacrime, ricordò l’ansia all’uscita, quando cercava tra la gente il rassicurante viso materno e il sollievo quando riusciva ad inquadrarlo in mezzo agli altri genitori. Un'altra barchetta era la prima zuffa con un bulletto, affrontarlo gli sembrava quasi impossibile e invece lo fece e alla fine era felice per averlo fatto anche se le aveva prese. Poi c'erano le barchette delle domeniche in montagna, il viaggio in auto e la cucina della nonna, la stufa a legna con la piastra di cerchi in ferro scuro consumato, i ciocchi avvolti dal fuoco che soffiavano scoppiettando e il ritorno a casa di sera col buio trapuntato di stelle, lui le fissava dal finestrino della vecchia macchina fantasticando che da qualche altra parte un bambino extraterrestre facesse lo stesso guardando il suo sole. C'era anche la barchetta del cinema col babbo che durante l'intervallo lo lasciava solo per andare a fumare e lui che sperava sempre tornasse prima il babbo del buio. Altre barchette erano gli amici d'infanzia, alcuni erano cresciuti e sembravano altre persone, chissà se anche lui faceva lo stesso effetto a loro. Lo specchio d'acqua continuava a riempirsi di piccole imbarcazioni di carta, erano tanti ricordi riesumati in ordine casuale, c'era anche quella del tipo che andava in casa a tagliargli i capelli, un amico del babbo che si arrangiava barbiere a domicilio. Ricordò il taglio preferito di allora: “solo una spuntatina alla zazzera” il resto niente, anche d’estate e non importava se a volte lo scambiavano per una bimba. Gli tornarono in mente le merende con il pane e il pomodoro strofinato, con il burro e la marmellata, la casa del giocattolo, Toto e Tata e le partite in doppio a “invasion”, lui muoveva il cannoncino e il suo amico sparava contro le astronavi aliene. Tra le increspature dell'acqua avevano ripreso a galleggiare anche il servito coi bicchieri della nutella finita, l'acqua frizzina, le palline Zigulì, il latte condensato, i pennarelli multicolori carioca, i pizzichi dell’ortica, il bagno al mare con la maschera e il boccaglio ma solo dopo almeno due ore dopo il pranzo, il sapore delle more del roveto vicino alla strada chiusa, quello dell'uovo fresco bevuto crudo nel pollaio di nonna, il rumore metallico della timbratura in uscita dal lavoro del babbo, le scorpacciate di ciliege arrampicato sull'albero, l'ostinata leva di avviamento a mano dell'Ape 50, il latte con la schiuma quando si faceva la colazione al bar, poi la scimmietta che stava sempre davanti a quel vecchio negozio, il fischietto fatto con il cuore delle canne che si trovavano sul bordo del fosso vicino alla ferrovia e quello improvvisato col tappo della biro,  lo sguardo attento ed impaurito di quel gattino diffidente che non voleva lasciarsi accarezzare, il portachiavi con lo scooby doo,  gli sportelli della vecchia 500 di mamma che si aprivano al contrario, i finestrini a manovella, l'odore nella cantina degli zii, l’uovo benedetto a Pasqua e le dormite in macchina che azzeravano la durata dei viaggi più lunghi. Ricordò la prima comunione, l’imbarazzo di sentirsi dentro quei pantaloni troppo bianchi e troppo eleganti e poi il senso d'indipendenza quando gli fu affidata la sua chiave di casa personale, il batticuore di quando disobbedì alla mamma per spingere le sue esplorazioni in bici oltre le “colonne d'Ercole” dell'Aurelia che non si doveva oltrepassare perché era pericoloso, da li le macchine passavano veloci. Poi ancora la passione per il calcio, le prime scarpe coi tacchetti pantofola d'oro, i numeri sulla maglia attaccati col ferro da stiro, le partite infinite in strada con gli amici e se pioveva in casa col subbuteo. Su una piccola barchetta azzurra c'erano le sensazioni della vittoria del mondiale nell’82, la più bella di tutte, la sfilata sul gippone con una salvietta azzurra perché la bandiera tricolore avrebbe dovuto essere preparata prima della finale rischiando di portare sfiga. C'era la prima rete segnata mentre il babbo lo guardava giocare, non cercò di trovarlo con lo sguardo tra gli altri genitori ma sapeva che era lì. C'erano anche i risultati della domenica calcistica attaccati al vetro del bar Commercio, erano scritti a mano con un pennarello su una stampa ingrandita simile ad una schedina del totocalcio, ricordò che dentro al bar c’erano le foto in bianco e nero di Coppi e Bartali perché il padrone da giovane era stato un buon ciclista e aveva corso con loro, ricordò la sala sul retro con il biliardo a goriziana che era sempre buia e fumosa, le lampade puntavano una luce bianca a picco sul panno verde e sui bordi in legno affumicato c’era sempre un bicchierino di liquore accanto al gessetto per le stecche. Altre barchette generavano leggeri cerchi circoncentrici sull'acqua che si allargavano fino a sparire; c'era il vecchio telefunken che trasmetteva Zorro, Furia, Goldrake, Mazinga, bip bip & Will il coyote, Tom & Gerry, Titti & Silvestro e supergulp con le avventure dell’Uomo Ragno. C’era anche il carnevale con la spada laser di plastica fosforescente, il sapore stucchevole degli spinaci gum, la felicità per la bmx in regalo per la promozione, la febbre alta e la fresca mano di mamma sulla fronte, ricordò quando col suo amico contavano gli anni che mancavano ad arrivare al duemila e gli sembravano tantissimi, e ancora, il caso Moro, la confusione e l’agitazione incomprensibile di quei giorni. Galleggiavano delicatamente anche lo ZX Spectrum prima e l'Amiga dopo senza passare dal C64, l'inizio di un'altra passione infinita. Ricordò le esplorazioni, le corse, a piedi e in bici, la carezza ruvida del babbo, l'odore del ferro delle altalene della pineta di ponente che restava sulle mani, le risate, i capelli sudati, i gavettoni e le pistole ad acqua d'estate, poi le fionde, le cerbottane con lo stucco, i salti in bici dal trampolino fatto con tavole e mattoni, le macchie d'erba, quelle delle zolle di terra scura, la torta di compleanno con le candeline, i soldatini fatti in casa con lo stampino ed il piombo fuso, i gettoni telefonici, il mal di milza dopo le corse a perdifiato e le prove di coraggio. Altri ricordi continuavano a riaffiorare, emergevano timidamente con in contorni sfumati diventando sempre più definiti, passavano piano piano dal bianco e nero sbiadito ai colori in alta risoluzione, riemersero i ricordi della scuola elementare, l’odore delle matite, i grembiuli bianchi per le femmine e neri per i maschi con i fiocchi blu per tutti, il sorriso dolce della maestra, i nuovi amici di allora che diventarono quelli di sempre, le aule con le mattonelle in granella, il tratto sfaldato dei gessetti sulla lavagna ed i termosifoni in ghisa verniciata. C'era  anche il rumore del pallone di gomma che rimbalzava sull'asfalto, quello del cartone fissato al telaio della bici per farlo strusciare sui raggi della ruota simulando il trambusto di un motore e lo scrosciare dell'acqua fresca delle cannelline. Rammentò la presa sicura della mano di mamma mentre camminava sul muricciolo a ridosso della spiaggia, le caramelle d'orzo nel cassettone della nonna e il doppio fischio di saluto di babbo quando rincasava la sera, poi i mocassini impolverati per le sgommate sul ghiaino facendo finta di avere i pattini ai piedi, il tango incastrato sotto le marmitte, l'odore del trinciato forte del nonno, lo slaim, l’ovetto kinder con la sorpresa, il mangiadischi con i 45 giri delle sigle dei cartoni animati e la calligrafia della nonna che sembrava quella di una bambina piccola. Pensò che era inconsapevolmente felice e felicemente inconsapevole. 
L'ultima barchetta erano gli schiamazzi dei suoi amici d'infanzia che giocavano nel vecchio piazzale, poteva distinguere una ad una la voce di tutti. Lo specchio d'acqua con le barchette iniziò a riflettere il vecchio ingresso di casa dei suoi genitori. Entrò in acqua fino ad immergersi completamente e si ritrovò li, proprio sulla soglia del vecchio appartamento. D'impeto uscì imboccando la rampa di scale, scese gli scalini due a due come faceva da bambino, ad ogni scalino sceso tornava indietro nel tempo ma se ne accorse solo quando arrivò in fondo. Vide gli altri, erano bambini, come lui, li guardò attraverso il vetro dell'andito, gli facevano cenno di unirsi a loro, d'impeto afferrò la maniglia del portone per raggiungerli, la sentì fredda, in quel preciso istante pensò alla sua famiglia, al profumo di sua moglie, al sorriso di sua figlia e al modo buffo che aveva di tenere la penna con la manina. Pensò alla quotidiana pausa caffè con la moglie a raccontarsi le rispettive giornate. Pensò a quando portava la bambina a scuola e lei che durante il tragitto dal cancello all'ingresso delle aule si girava tre o quattro volte per salutarlo. Pensò ai volti invecchiati e sereni dei suoi genitori. Era ancora felice. Guardò gli altri dal vetro un ultimo istante poi risalì le scale. Si tolse il cappello. 
Le delicate barchette ora erano diventate indelebili fotogrammi ancorati saldamente nel porticciolo della sua memoria.

(FabR#LeBarchettediCarta)

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